Parole spirituali

Regole alimentari nell’Ortodossia

  • Foto: Oana Nechifor

    Foto: Oana Nechifor

L’alternanza dei periodi di digiuno con quelli di festa realizzano un meraviglioso equilibrio alimentare, che fa sì che la necessità di qualsiasi dieta diventi superflua. 

1. Regole alimentari: indefinibilità del termine; dimensione propositiva

Si crede spesso che l’Ortodossia abbonda di regole e perciò, spesse volte, è vista come tradizionalista ed esigente. E’ vero che è tradizionalista e che le sue regole sono esigenti, cosa da notare con facilità presso i praticanti immigrati nelle società occidentali. Al tempo stesso, chiunque facesse uno studio attento si accorgerebbe prima di tutto dell’ethos che la tradizione ortodossa è riuscita a creare lungo i secoli e questo è diventato la più forte regola dell’esperienza cristiana ortodossa.

Nel campo alimentare, le regole sono molteplici, a volte abbastanza esigenti, ma tutte ruotano intorno all’Eucaristia pasquale. L’uomo deve nutrirsi e questa è la regola fondamentale che Dio ha messo nella natura corporea dell’uomo. Il cibo finge da fondamento per la sopravvivenza del corpo, e proprio qui, Dio ha messo delle regole, non per mettere in pericolo l’esistenza fisica, bensì per conferirle una dimensione spirituale. Quando Dio mise Adamo in mezzo alle bontà del Paradiso gli diede anche una regola alimentare. Una volta compromesso il disegno divino, Dio si propone di salvare l’uomo nella sua integralità, anima e corpo; e per fare questo offre Sé stesso, corpo e sangue alla Sua Chiesa, perché i credenti se ne cibino e così restino salvi.

Il typos delle celebrazioni eucaristiche è la Liturgia Pasquale, intorno alla quale ruotano tutte le altre feste dell’anno liturgico. E’ questa Liturgia che definisce le regole alimentari di ogni giorno.

Per un mondo consumistico, il primo impatto in questo settore, è la regola del digiuno. Infatti, la realtà è rovesciata. Se la Liturgia Eucaristica è un banchetto, è chiaro che le regole sono prima di tutto propositive e non di divieto. Su questi aspetti ci fermeremo e porteremo degli esempi rilevanti.

Per la tradizione ortodossa sono suggestivi alcuni typicon che regolano gli aspetti della vita ecclesiale e sociale, ma che fanno riferimento anche a dei principi alimentari. Il più antico “Typicon” di San Saba (quinto sec. d.C.) è uno dei più recenti è il “Pidalion” di San Nicodemo L’Aghiorita (fine Settecento). I canoni compresi in questi typicon sono per lo più suggestivi e propositivi, perché tutti quanti comportano eccezioni. La regola d’oro per i principi alimentari rimane la tradizione che ogni popolo se l’ha costituita lungo i secoli a seconda delle condizioni geografiche, climatiche ed economico-politiche. In più si conoscono delle variazioni anche regionali, in pieno accordo anche con il temperamento della gente del posto. Ecco perché è difficile parlare di regole alimentari nel senso stretto della parola.

 

2. La dimensione festiva dell’alimentazione

“Ogni incontro è una festa” si esprimeva Antoine de Saint d’Exupery. Queste parole definiscono meglio la comunione dei fedeli all’interno dell’Eucaristia. In Liturgia, i fedeli si incontrano con Dio e tra di loro e insieme formano il corpo mistico di Cristo. Questo incontro diventa un banchetto in cui l’Agnello immolato è Dio Stesso che offre ai Suoi il proprio corpo e il proprio sangue. Loro se cibano di Lui e assumono i tratti della Sua santità. Parlando di questo mistero, San Massimo il Confessore lo paragonava al ferro messo a fuoco. Se la regola è che il più forte prevalga sul più debole, il fuoco fa sì che il ferro si riscaldi fino a diventare esso stesso fuoco. Se Dio è il più forte, l’uomo, messo al fuoco dello Spirito, diventa egli stesso fuoco-spirito. E’ questa la divinizzazione dell’uomo di cui parla la spiritualità orientale. Noi mangiamo il corpo e il sangue di Cristo, ma non siamo noi ad assumere Lui, bensì viceversa. Il banchetto ha come fine la deificazione de mortali.

Dio ha disposto che l’uomo, la Sua creatura, sopravvivesse attraverso il cibo offerto dalla natura. Se il cibo rappresentasse soltanto il sostentamento della vita biologica, sarebbe troppo poco e il mondo di significati sarebbe drasticamente impoverito. L’uomo se ne ciba della carne degli animali e dei frutti della terra, perché realizzasse il suo rapporto col cosmo e così accedesse al suo Creatore. Ogni creatura deve essere percepita come una parola del Creatore, dunque una porta verso l’infinito. Rinunciare volentieri al mangiare la carne, non vuol dire necessariamente limitare il nostro relazionarci alla morte presente nell’uomo e nel mondo. Astenersi dal cibarsi di carne dovrebbe ricordarci la nostra vocazione, quella di animare e spiritualizzare tutto il creato. In questo senso, Sant’Isacco il Siro, parlando dell’incontro pacifico tra alcuni eremiti e gli animali selvaggi del deserto afferma che le bestie non li attaccano perché identificano in loro il profumo spirituale di Adamo prima della caduta.[1] Secondo lo stesso Padre della Chiesa, anche Cristo, quando ci chiese di ungere i nostri capelli durante il digiuno, si riferiva non soltanto al nascondere la fatica, ma anche al penetrare le ratio divine del creato attraverso i sui profumi essenziali per raggiungere la Ratio suprema che è il Creatore, e così comprendere che la terra non è una preda, bensì un Vangelo aperto che ci parla del Regno incorruttibile. E’ questa la dimensione festosa di ogni incontro che diventa banchetto e fa di ogni cibo una “eucaristia”, cioè partecipativa a delle razioni superiori.

Ogni festa è focalizzata sul banchetto eucaristico. La Cena del Signore non è soltanto la festa della piccola comunità radunata in chiesa intorno all’altare, ma per la sua comunione con la “Liturgia Celeste”(descritta da Dionisio L’Areopagita) diventa anche il centro del cosmo. Tutto il creato partecipa alla trasfigurazione dei figli di Dio, per cui i fedeli, soprattutto nelle chiese ortodosse, portano in chiese del cibo perché fosse benedetto, cioè toccato dalla sacralità dei doni eucaristici e poi condivisi con le persone presenti oppure coi famigliari che non hanno partecipato ala Liturgia. La santità eucaristica si espande, attraverso i frutti della terra a tutte le persone e a tutto il creato. Risulta ragionevole che i primi frutti della terra siano portati in Chiesa come caparra dell’abbondanza donata da Dio. Nel giorno della trasfigurazione del Signore (il 6 agosto), vengono portate in chiesa la prima uva per la benedizione. Prima di quella data, a nessuno è consigliato assaggiarla.

Se durante la Quaresima l’elemento fondamentale dei pranzi è il pane e i legumi, nel giorno di Pasqua, gli ortodossi di ogni tradizione culturale usano un pane speciale, un dolce che definisce stupendamente la dimensione festosa del pranzo di Pasqua.

 

3. Il digiuno. Attesa e presenza

La regola del digiuno è di origine divina, anche se non sempre esplicita ma da sempre praticata dalla Chiesa. Quando i farisei rimproveravano Gesù che i Suoi discepoli non digiunavano, Egli rispose: “Come potrebbero digiunare i figli delle nozze quando lo Sposo è insieme a loro? Ma verrà il tempo quando lo Sposo gli sarà tolto e allora digiuneranno”. Alla presenza dello Sposo, dunque all’interno del banchetto nuziale non si digiuna. Invece, nell’attesa e nostalgia dello Sposo temporaneamente assente i fedeli digiunano. Fino alla Parusia, la Chiesa celebra la memoria del suo Sposo, il quale è contemporaneamente assente e presente. Essa digiuna rilevando proprio questo mistero di Assenza presente e fa sì che i frutti del digiuno diventino mezzi di una più piena comunione. Prima di tutto, il digiuno è un’astinenza mirata. In una prospettiva antropologica, la fame fisica che il digiuno crea deve rivelare la fame e la sete per il Signore: dobbiamo sentire anche in corpo una reale fame di Lui, perché sarà Lui che col Suo corpo ci sazierà. Ma il digiuno ha anche una dimensione sociale - comunitaria: come ci insegna San Giovanni Crisostomo, l’avanzo di cibo risultato dal digiuno è destinato ai poveri. Ma il digiuno è tale soltanto se accompagnato dall’ascesi spirituale: perdono, misericordia, umiltà, bontà, carità, ecc.

Nella tradizione ortodossa, il digiuno, come regola alimentare, conosce vari risvolti. Il più aspro digiuno dura sei settimane ed è preparatorio per la Pasqua. Parliamo della Quaresima. Normalmente, durante la Quaresima, sono permessi i cibi di origine esclusivamente vegetale e soltanto il sabato e la domenica possono essere preparati con olio. Allora si può prendere anche un bicchiere di vino. Invece, il digiuno dell’Avvento è più mite e permette l’uso del pesce il sabato e la domenica. La stessa regola si applica anche ai digiuni dei Santi Apostoli. Nel digiuno della Dormizione della Madre di Dio non è permesso il pesce, ma la facilità si deve alla abbondanza dei legumi e frutti che offerteci dall’estate. A questi si aggiungono giorni particolari di digiuno assoluto, come la Festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), della Decollazione di San Giovanni Battista (29 Agosto), alla vigilia dell’Epifania (5 gennaio) e alla Vigilia di Natale. In questi giorni non si mangia niente e non si beve nemmeno l’acqua fino alle ore tre del pomeriggio oppure fino al tramonto del sole, a seconda delle possibilità di ciascuno; la sera si mangia pane e si beve acqua.         

  

4. Intermezzo

Il digiuno è un concetto molteplice che implica non soltanto astinenza alimentare, ma anche ossia soprattutto astinenza spirituale. Mira a limitare ed eliminare le passioni del corpo e dello spirito. Se questo obiettivo non viene raggiunto, il digiuno alimentare è senza senso. Con tutto ciò, il digiuno alimentare deve essere compiuto nella misura giusta a seconda delle possibilità di ogni organismo e della natura umana in genere. Quando le celebrazioni liturgiche sono abbastanza lunghe – perché anche esse fanno parte dell’insieme dell’ascesi - il typicon si cura della fragilità dell’essere umano. Perciò, ai vespri della Vigilia delle grandi Feste si aggiunge una funzione all’interno della quale si benedicono i frutti della terra (pane, olio, vino e grano), i quali pi si condividono tra tutti i partecipanti. Il pane attinto al vino è un rinforzo necessario e, infatti, contrassegna la fine del digiuno di quella giornata.

Nelle settimane precedenti o successive ai grandi digiuni, i mercoledì e i venerdì (che di solito sono giorni di digiuno) sono permessi tutti i generi di cibo. Sono eccezioni diventate regola con l’intento di alleggerire il peso del digiuno. Quando capitano della grandi feste in periodi di digiuno (es. l’Annunciazione, la Domenica delle Palme, la Trasfigurazione) il digiuno è addolcito dai cibi a base di pesce. In questi giorni, la dimensione festosa si corrobora con quella di astinenza. Sono come un intermezzo, come un momento di respiro all’interno dello sforzo ascetico.

Il peso del digiuno è regola per tutti, ma nello spirito della libertà ne vengono liberate le persone che si trovano in uno stato particolare. Per esempio, i bambini vengono esonerati dal digiuno. Dall’età di sette anni sono educati a praticare progressivamente il digiuno, senza che quest’ultimo minacciasse in alcun modo la loro salute e i processi di crescita fisiologica. Sono ugualmente esenti da queste regole gli anziani e i malati: si lascia loro a libertà di praticare il digiuno a seconda delle possibilità imposte dal loro stato di salute.

La stessa libertà viene conferita anche ai viandanti.

 

5.      Il banchetto festoso

Il tema del banchetto è abbondante nella Sacra Scrittura. Lo stesso Regno di Dio viene presentato come un banchetto. Alle nozze del Figlio di Dio sono invitati tutti a prendere parte al banchetto. Anche l’Eucaristia è un banchetto mistico. Perciò, le grandi feste liturgiche (Pasqua, Natale,ecc.) come anche le feste personali (nozze, battesimi, anniversari) vengono onorate attraverso banchetti. Le ricette culinarie si sono evolute a seconda dei cicli annuali ritmati dalle feste, ma anche dalle condizioni climatiche o dai periodi sociali – storici (carestie, guerre, crisi, totalitarismi). Nei paesi ortodossi con clima mediterranea, i pasti nei giorni di festa, sono abbondanti in pesce, carne e orto-frutticoli. Invece nei paesi continentali (Romania, Russia , Bulgaria, Ucraina) predominano i pasti a base di carne. Questi conoscono un complesso processo di lavorazione cosicché a volte il pranzo di Natale o di Pasqua inizia ad essere preparato due, tre giorni prima. Il vino pregiato ha il suo posto, come anche la grappa tradizionale. In questi paesi, la grappa forte o la vodka (Russia, Ucraina), di 70 – 80° si assaggia all’inizio del pasto, sia per stimolare l’appetito, che per difendere dal freddo. Al pranzo di Natale non mancano gli involtini alla carne con polenta, invece a Pasqua si mangia agnello e le uova dipinte di rosso. Il pranzo nuziale è costituto dalla tradizionale minestra, dagli involtini alla carne e dalla bistecca di maiale. In alcune regioni, la realizzazione delle torte è diventata una vera arte.

 

6.      Il senso dell’equilibrio

L’alternanza dei periodi di digiuno con quelli di festa realizzano un meraviglioso equilibrio alimentare, che fa sì che la necessità di qualsiasi dieta diventi superflua. Il mondo consumistico odierno risente la necessità di varie diete richieste dalle corrispettive malattie. Possiamo parlare qui delle diete imposte dalle malattie cardiovascolari o dall’obesità o da altre provocate dallo stress (psicopatologie), le quali pur necessarie, sono artificiali (dunque contro-natura) e sono la prova diretta dell’ignoranza delle regole alimentari suggerite dalla Sacra Scrittura, proposte dalla Chiesa e verificate dalla Tradizione. Sono queste delle regole che rilevano un grande equilibrio prima di tutto interiore, ma anche con ripercussioni dirette sulla salute fisica. Una vita equilibrata presuppone anche un’alimentazione sana ed una motivazione spirituale di essa.

http://www.episcopia-italiei.it/index.php/it/opinii-ortodoxe-2/519-regole-alimentari-nellortodossia 

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